Hannah Arendt (1906-1975) è una delle figure decisive della filosofia politica contemporanea. Di origini ebraiche, allieva di Heidegger, Husserl, Bultmann, Guardini e Jaspers, all’avvento del nazismo abbandonò la Germania ed emigrò prima in Francia e poi negli USA (1941). Qui insegnò in varie università, per poi stabilirsi presso la New School for Social Research di New York. Fu autrice di numerose opere, quasi tutte ormai disponibili in italiano: Il concetto di amore in Agostino (1929), Le origini del totalitarismo (1951), Rahel Varnhagen. Storia di un’ebrea (1957), Vita activa (1958), Tra passato e futuro (19682), Sulla rivoluzione (1963). Sono stati pubblicati postumi La vita della mente (1978) e le Lezioni sulla filosofia politica in Kant (1982). Sta nel ripensamento del rapporto tra uomo e realtà, tra pensiero ed essere, il più profondo insegnamento arendtiano, da cui è possibile trarre importanti conseguenze sia teoretiche che pratiche: all’interno di un contesto culturale dove prevale un approccio deontologico ai drammatici problemi che investono la coscienza dell’uomo contemporaneo, Hannah Arendt ricorda che la moralità di un’azione non nasce tanto dall’osservanza di principi e norme, quanto dall’atteggiamento di fondo dell’uomo nei confronti dell’essere e quindi dalla tonalità della ragione che lo guida nel suo rapporto col reale. Se il razionalismo prevalente nella modernità ha esiti nichilistici, occorre riattualizzare creativamente le possibilità che il passato - anche quello "moderno" - ci ha lasciato in eredità, alla ricerca di una ragione mai immemore del carattere misteriosamente gratuito e perciò indisponibile del reale e quindi capace di rispettarlo, a partire dallo stupore grato nei confronti di esso.