Commento: |
Controriforma, linguaggi locali, influenze venete e romane, architetture nobiliari delle ville di delizia: i mille volti del barocco lombardo L’ascesa alla cattedra arcivescovile di Milano di Federico Borromeo (1595), erede della "grande riforma" intrapresa dal predecessore e cugino Carlo, coincide con l’aprirsi di una straordinaria stagione figurativa i cui esponenti più qualificati sono Cerano e Giulio
Cesare Procaccini, cui si aggiungerà poco più tardi Morazzone. Federico è anche uomo di profonda cultura e raffinato collezionista; probabile committente del Caravaggio per la
celebre Canestra di frutta, a lui si deve la fondazione della Biblioteca e dell’Accademia Ambrosiana. In architettura al colto classicismo del Mangone, caro al cardinale, si contrappone
la versatilità del Richini, capace di fondere la tradizione locale con gli aggiornamenti maturati nei soggiorni romani e di cimentarsi nelle più diverse tipologie dell’edilizia religiosa e civile. Vi è poi lo straordinario tessuto dei Sacri Monti prealpini, qui rappresentati dal caso di Varese, in cui le arti si fondono e si inseriscono mirabilmente nel paesaggio. Dopo la crisi segnata dalla peste manzoniana del 1630, le arti si indirizzano verso svolgimenti più determinatamente barocchi, con
aperture verso esperienze genovesi, emiliane e romane (il Nuvolone e Francesco Cairo, tra gli altri), mentre nell’ultimo quarto del secolo si fa strada una linea di tendenza classicista
e romanista. La rifeudalizzazione del territorio, incoraggiata dalla monarchia spagnola, è all’origine della trasformazione in residenze monumentali di preesistenti più modesti edifici rurali o fortificati, fenomeno che continuerà nel Settecento, con la fioritura delle "ville di delizia". Importante è infine la presenza
del Tiepolo, che proprio a Milano, nel quarto decennio del secolo, trova la sua prima affermazione. |